Art. 10.
(Condizioni di applicazione).

      1. L'indulto si applica a condizione che il condannato, per il periodo di tempo corrispondente alla pena condonata e comunque non inferiore a un anno, presti volontariamente attività non retribuita in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti od organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.
      2. L'attività di cui al comma 1 viene svolta nell'ambito della provincia in cui risiede il condannato e comporta la prestazione di non meno di sei e non più di diciotto ore di lavoro settimanale, da svolgere con modalità e con tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di

 

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studio, di famiglia e di salute del condannato. Qualora la permanenza nella provincia di residenza possa pregiudicare l'allontanamento del condannato da ambienti illeciti, il giudice può autorizzare lo stesso a prestare l'attività e a dimorare, per un periodo corrispondente a quello di prestazione dell'attività stessa, presso un'altra provincia.
      3. Il provvedimento di cui al comma 1 è adottato con ordinanza, su richiesta del pubblico ministero, dal giudice dell'esecuzione individuato ai sensi dell'articolo 665 del codice di procedura penale, che provvede a raccogliere il consenso del detenuto con la procedura di cui all'articolo 666 del medesimo codice; in deroga a quanto previsto dal comma 4 del citato articolo 666, la presenza del pubblico ministero all'udienza in camera di consiglio non è obbligatoria. Il provvedimento è comunicato al servizio sociale del Ministero della giustizia.
      4. Il giudice dell'esecuzione, sentite le parti, inclusa la persona offesa, nell'udienza di cui al comma 3, può, in luogo della prestazione dell'attività di cui al comma 1, condizionare la concessione dell'indulto al risarcimento del danno in favore della persona offesa ovvero all'eliminazione o all'attenuazione delle conseguenze del reato.